FuoriSalone 2021: intervista a Gabriele Salvatori

03.2022

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Gabriele Salvatori: "Il design è come la musica". Lo vedremo al FuoriSalone 2021!

Tutto quello che viene creato in azienda nasce dal puro divertimento. Tiene a precisarlo Gabriele Salvatori, deus ex machina dell’azienda di famiglia che lo ha coinvolto sin dalla tenera età. “Una passione che ho da bimbetto, oltre alla musica” – dice. Per questo mette sullo stesso piano l’alchemica concatenazione delle note e la creazione della forma materica marmorea. Al centro di tutto c’è la sua straordinaria capacità di instaurare relazioni empatiche con i designer. Da qui nascono tutte le novità che vedremo alla prossima Design Week di Milano a settembre, che Salvatori ci svela tra un ritmo e l’altro.

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Un’opinione sull’edizione di settembre di Supersalone e Fuorisalone.

È un atto dovuto e un bel segnale per tutti. Per quanto i collegamenti digitali siano stati efficaci, mancava quella chimica che si crea solo guardando negli occhi le persone. Quando ci si incontra veramente è un’altra cosa. Non solo per il cliente, ma per tutte le persone coinvolte nella filiera. Sarà un’edizione con un tono diverso, ma è bene che si faccia: è uno sforzo che le aziende devono assolutamente affrontare. Personalmente sono felice di ripartire dopo così tanti mesi di assenza. Per questa edizione non ci siamo risparmiati, abbiamo investito come se nulla fosse successo, pur consapevoli del fatto che ci sarà meno affluenza. Preso il coraggio a quattro mani, non ci siamo fermati, l’azienda sta andando troppo bene per arrestare il percorso intrapreso qualche anno fa di investimento e crescita, abbiamo continuato ad assumere e stiamo aprendo anche un grande showroom a New York.

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Il settore è quindi in via di ripresa?

Riprenderanno le aziende che si sono preparate ad operare con logiche di mercato moderne, pronte a muoversi in campo internazionale con strategie locali di ingaggio. Per chi è su questo percorso di adattamento ad un mercato che già prima mutava molto rapidamente, e ora ancor di più, credo ci sia un potenziale di crescita enorme. Noi lo vediamo già da questi primi mesi dell’anno, in cui l’azienda è cresciuta molto. Abbiamo poi approfittato della pausa del 2020 per ufficializzare il lavoro di ricerca, sviluppo e creazione interno in atto da tanti anni con la nascita del nuovo Design Center Salvatori, che firma la gran quantità di prodotti disegnata da noi. Molto lavoro da sviluppare arriverà anche da asset immobiliari comprati dagli investitori a prezzi un anno fa impensabili, cogliendo le opportunità della pandemia.

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Lo showroom di Solferino, invece, presenterà le nuove collezioni che vedono nuove collaborazioni. Iniziamo da quella con Patricia Urquiola. Come è nata questa sinergia?

Al concerto dei Rolling Stones 2 anni fa a Praga, dove andammo insieme a Piero Gandini di Flos. Nessuno pensava minimamente che l’evento ludico potesse sfociare in qualcosa di professionale. Tre giorni in cui ci siamo conosciuti e piaciuti. La collezione di tavoli Taula è nata con schizzi, alcune idee, un confronto tra proposte e desideri e una conoscenza più approfondita. Poco alla volta siamo arrivati ad un risultato che piaceva ad entrambi: una serie di tavoli monolitici in cui la pietra è lavorata con curve sinuose e morbide ed una struttura che consente al piano di non toccare le gambe con un effetto galleggiante nell’aria. Non è stato facile trovare il punto di equilibrio nella realizzazione, in più occasioni abbiamo pensato di gettare la spugna, invece la fantasia ha trovato la soluzione. Essendo le dimensioni del tavolo abbastanza sostenute, il ventaglio di marmi utilizzabili si è stretto su quelle particolarmente resistenti come il Gris du Marais®, una nostra esclusiva, proprio per quel gioco di sospensione del piano che Patricia ha saputo valorizzare con l’uso del colore quale segno grafico dichiarato. Con Patricia è nata una bella amicizia, continueremo a fare insieme altre cose, perché il suo punto di vista femminile, morbido e colorato, completa l’interpretazione della pietra. Tra di noi si è creata una tensione naturale, un po’ come nella musica. Quando metti insieme una tonica con una quarta, il risultato è quasi stridente ma è la differenza a rendere il pezzo interessante. Se ti fermi sempre al giro di Do diventa tutto noioso.

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Com’è andata con Stephen Burks, altra nuova collaborazione?

Ci siamo conosciuti tramite un amico che vive a New York, si è dichiarato innamorato della nostra azienda e mi ha fatto vedere alcuni lavori. I primi schizzi sono stati di una collezione molto interessante di lampade che richiede, però, tempi di studio lunghi e alla quale stiamo ancora lavorando. In corsa, ha proposto una serie di specchi scultorei che portiamo ora alla design week milanese. Sono un oggetto a metà tra l’arte e il design, per i quali abbiamo utilizzato marmi che si vedevano nelle chiese italiane del ‘500, dal Giallo Siena al Broccatello Siena. Ci piace lavorare con lui, ama l’Italia e ha una grande cultura del design e dell’architettura del nostro Paese. Ci sentiamo anche al di fuori del lavoro.

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Quello con Piero Lissoni è un sodalizio consolidato. Con lui affrontate ancora il tema del riutilizzo. In che modo questa volta?

Abbiamo utilizzato scarti, frammenti piccoli per realizzare una serie di complementi d’arredo dalle dimensioni ridotte. Piero è particolarmente sensibile al tema, è anche un amante della montagna, abbiamo intrapreso questo percorso del riuso dal 2008, il primo esempio fu la casa di John Pawson rivestita con ritagli di marmo. Tutto quello che facciamo insieme nasce da questo principio, riciclare e non buttare. Passiamo tanto tempo insieme extra lavoro e le cose vengono fuori a tavola o davanti a un gin tonic. Negli ultimi anni, credo che non sia più capitato di vederci formalmente seduti in un ufficio. Non l’ho ancora convinto a venire con me a pescare.

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Quale elemento progettuale personale hanno portato i due designer in Salvatori? In che modo hanno arricchito la collezione?

Nella musica ci solo solo 12 note, ma la loro combinazione è infinita e dà vita a melodie sempre diverse, da sempre. Così nel design. Con Patricia e Stephen ho trovato degli accordi mai banali, persone capaci di pensare alla rovescia, sottosopra. Un mix di sana ingenuità, curiosità quasi infantile, voglia di giocare. Far entrare in azienda menti fresche lasciandole nella loro purezza è un fattore prezioso. Sono soft skill, elementi impalpabili che non si possono tradurre e che vengono fuori a seconda delle critiche che si instaurano tra designer e azienda. È un’alchimia unica e irripetibile tra gli interlocutori.

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Anche la poetica di Elisa Ossino ritorna, mimetizzando il rubinetto nella pietra. Perché lo definite un lavoro tra gioielleria e ingegneria di precisione?

È un’amicizia che dura da tanti anni, iniziata sui set fotografici. Ai tempi, ho letto in lei un talento chiedendole di disegnarci qualcosa. Da lì è stata un’escalation perché non ha sbagliato un prodotto. La sua poesia arriva da un occhio scenografico e teatrale. Per noi si era già cimentata in un rubinetto, Fontane Bianche, dato in licenza distributiva a Fantini, questa volta le ho chiesto di lavorare ad un rubinetto che si confondesse sullo sfondo dei nostri materiali, in modo da scomparire. Ha dei dettagli nella parte meccanica del metallo simili a quelli dell’orologeria per l’altissima precisione, somigliando alla ghiera di un orologio, dove l’inserto in pietra fa scomparire il rubinetto e l’unica cosa leggibile diventa una sottile linea perimetrale che fa da corolla. È elegante e sofisticato. Siamo molto soddisfatti, ci sarà anche la declinazione nel mondo doccia – soffione, ecc -, ma al Fuorisalone presenteremo solo una parte della collezione, che si vedrà invece all’appuntamento di aprile 2022. Oso definirlo un risultato unico perché pone sotto un’unica regia il mondo delle superfici e della rubinetteria.

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Anche la poetica di Elisa Ossino ritorna, mimetizzando il rubinetto nella pietra. Perché lo definite un lavoro tra gioielleria e ingegneria di precisione?

La pandemia ha dimostrato che il mondo è un villaggio, viviamo tutti sullo stesso fazzoletto di terra. Passando così tanto tempo in casa durante il primo lockdown, ho coinvolto un po’ di amici, cominciando da Kengo Kuma, nel disegnare una propria visione della casa, proseguito poi con Lissoni, Dordoni, Pawson, Ossino, Yabu Pushelberg… Tutti entusiasti e coinvolti più di quanto pensassi, tanto che vedendo i risultati, interpretazioni con ricchezza accurata di dettagli, ho deciso di creare un mondo concettuale dove installare tutte queste ‘casine’ in miniatura, coloratissime, di circa 20 cm x 20. Ne abbiamo una decina, ma continuano a chiamarmi altri designer chiedendomi di partecipare. E credo che lo farò, voglio lasciarlo come un progetto che non si chiuderà mai. I prototipi li tengo a casa tutti sulla libreria uno di fianco all’altro. Sono ganzissime.

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